Oltre ad essere un utile strumento giuridico da poter utilizzare in caso di separazioni e divorzi, la MEDIAZIONE FAMILIARE rappresenta un radicale cambio di paradigma relazionale all’interno di una coppia in stato di conflitto, portando un modo alternativo di comunicare e gestire i rapporti interpersonali.
Il paradigma (dal greco “esemplare”) è un termine di paragone. Il cambiamento di paradigma assume quindi il significato di un cambio radicale delle assunzioni alla base di una teoria.
La mediazione familiare rappresenta un vero e proprio cambiamento tra il vecchio paradigma ed il nuovo.
IL VECCHIO PARADIGMA
Nel vecchio paradigma, molto diffuso, la controversia della coppia era impostata sullo schema “win-lose” (vincitore e vinto) e durante la controversia si puntava molto in alto per poi arrivare ad un compromesso da ritenersi accettabile. Era sconsigliato addirittura qualsiasi accordo prima dell’udienza.
Anomalia tollerata, considerata come inevitabile e naturale, era la sofferenza dei figli coinvolti, considerati vittime sacrificali in quanto tutto era gestito da adulti per loro stessa garanzia.
IL NUOVO PARADIGMA
La Mediazione Familiare introduce il nuovo paradigma ADR (Advanced Dispute Resolution) in cui entrami i genitori impostano fin da subito un modello “win-win” in cui si pone al centro l’autodeterminazione e la responsabilità delle scelte genitoriali nel fissare le regole che incidono nella vita quotidiana senza delegarle al Giudice.
In questo nuovo paradigma la sofferenza dei figli viene vista come un problema da affrontare e superare: la protezione del minore è il punto di riferimento che guida l’azione del Mediatore Familiare e dei genitori.
Si tratta di un percorso a volte difficile, non sempre esente da rischi che parte quasi sempre da lacerazioni, conflitti, aspettative deluse e ferite profonde in uno scenario iniziale privo di prospettive future.
Porre i figli e le loro esigenze al centro della Mediazione Familiare mette al riparo da condotte alienanti da parte dei genitori e mette in primo piano il loro benessere responsabilizzando i genitori.